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04/03/2006
Mirco Lazzari: professione FOTOGRAFO

  » Visualizza le foto del fotografo

Si inaugura con l’intervista al fotografo Mirco Lazzari la rubrica FOCUS, dedicata agli approfondimenti. Naturalmente non si poteva che cominciare con la fotografia, e con una delle firme più prestigiose. Oltre all’intervista è possibile accedere alla relativa sezione fotografica, contenente alcune delle immagini più suggestive realizzate da Mirco negli ultimi 2 anni.
 
Curva della Quercia, circuito di Misano. Sono le 14.30 circa di un torrido pomeriggio di giugno del 2000. Da poco è terminato il turno di qualifica delle Supersport e mancano solo pochi minuti all’inizio delle prove per la SBK. A pochi metri da me c’è un fotografo che sta trafficando con un pc portatile e con la macchina fotografica. Lo osservo con attenzione, incuriosito, e cautamente mi avvicino. La sua attrezzatura per me è pura fantascienza, capisco di avere a che fare con un autentico professionista e non oso troppo disturbare. E’ lui a rompere il ghiaccio con un commento sul caldo e il venticello che solitamente percorre la pista e che invece latita. Dall’accento capisco che si tratta di un emiliano, dal pass appeso al collo che si chiama Lazzari.
 
E’ così che ho conosciuto Mirco, non so se lui se lo ricorda, ma non importa. Quello che conta è il ricordo di una persona straordinariamente cordiale e disponibile fin dal primo momento, una persona innamorata del proprio lavoro e che crede fermamente in quello che fa. Due anni dopo ci siamo rivisti a Imola, finale SBK tra Edwards e Bayliss, variante bassa, gara 2. Io lo salutai come un amico ritrovato, lui mi restituì il saluto. Poi, mi chiese chi fossi, perché non riusciva a ricordare e la cosa gli dispiaceva. Da allora ho avuto la fortuna di incontrarlo ancora alcune volte, a Imola e a Monza, di conoscere suo fratello Mauro, ogni volta rinnovando il piacere dell’incontro con chiacchierate a 360 gradi, dalla tecnica fotografica ai sogni, passando per i racconti della sua vita randagia ma colma di passione e talento, alimentando l’attesa e il piacere di un nuovo futuro incontro, gustando le sue foto su SportAutoMoto e sul bellissimo libro Emozioni.
 
Quando ho deciso di dare espressione alla mia passione e ai miei sogni con ImagoLive, avevo già in mente il desiderio di avvicinare lui e qualche altro famoso fotografo per poterne parlare con maggiore profondità. Quando gli ho proposto questa intervista e il progetto più a lungo termine di ospitare sul sito altri fotografi, ha accettato con entusiasmo, restituendomi un’immagine ancora più viva della sua straordinaria ricchezza interiore. Insieme a questo mi ha offerto un incitamento a proseguire, a perseverare, a coltivare i sogni come quella parte di noi stessi che, restando eternamente bambina, ha bisogno di maggiori cure e attenzioni. Per tutto questo e per le emozioni che le sue immagini sanno suscitare in chi le osserva, gli sono riconoscente e mi auguro che chi leggerà queste righe e ammirerà queste sue foto faccia altrettanto. 
 
Chi è Mirco Lazzari
 
Sono nato il 20 maggio del 1961. A sette anni per la comunione mio cugino, fotografo, mi regala la mia prima macchina fotografica. Che io sfrutto al volo facendomi accompagnare da mio padre in autodromo per fotografare una gara di auto.
 
Ricordo ancora la prima foto: Chris Craft, Mclaren Can Am. E la prima delusione: come era piccola e soprattutto non era altro che una scia verde, e mossa! Non escluderei che da qui è iniziato il mio amore per i grossi tele… A quindici anni con i soldi guadagnati lavorando in ceramica compro una cinepresa super otto con la quale spendo un capitale in pellicole video. Ovviamente filmando gare. Un video perché secondo me le gare sono movimento, e le foto mi parevano semplicemente troppo statiche.
 
Però l’anno dopo, sempre con i risparmi del lavoro estivo ed assieme ad un altro cugino che ne aveva appena acquistato una, acquisto la mia seconda macchina fotografica: una semplice Canon AE1. Debutto a Misano, biglietto di prato in mano, curva del Tramonto e una gara di Formula 2. Va meglio anche per merito di un tele 300mm 5.6 comprato immediatamente assieme ad un duplicatore 2X.
 
La svolta nell’85 quando, dopo un colloquio con Cavicchi, entro nella famiglia di Autosprint lavorando all’archivio fotografico. A novembre arriva anche Angelo Orsi come fotografo assunto della testata e con lui inizio un corso che dura tutt’ora.
 
Ercole Colombo, Daniele Amaduzzi, le varie agenzie italiane e straniere. Le foto dei più grandi fotografi del settore passavano dai visori di Autosprint. Da Bernard Asset a Gilles Levent, Mike Cooper, Pascal Rondeau, dai fotografi di Allsport a quelli della DPPI. Tutto ciò condito dagli insegnamenti giornalistici, immagini abbinate alla grafica, ai testi, titoli e sommari, bacchettoni e didascalie che dal direttore al vice, dai grafici ai giornalisti mi hanno fatto capire che le foto nel giornalismo hanno leggi non scritte che ne permettono un utilizzo ad hoc in questo settore. E, se studiate appositamente, ne fanno le protagoniste di quello che era il più prestigioso settimanale di automobilismo sportivo di allora.
 
Nell’89 seguo alcune gare del nascente SuperTurismo Italiano ed a fine anno partecipo fotograficamente al primo libro di una fortunata serie di nove che la Salerno Corse fa su questo campionato. Ed entro a far parte dell’NPS, i fotografi professionisti italiani, sportivi e non, che la Nikon segue con un occhio di riguardo.
 
Nel ‘91 inizia la collaborazione con Ercole Colombo che è proseguita fino al 2001. Intanto, nel 1999, dopo quindici anni di direzione, Cavicchi lascia AS. E, due anni dopo, mi chiama proponendomi di partecipare alla nascita di un nuovo settimanale di corse, auto e moto: Sportautomoto. Progettare e costruire una rete di fotografi ed agenzie che coprano le gare a livello mondiale facendo sì che il lunedì si possa completare il numero con immagini in diretta di tutte le gare italiane e le più importanti a livello mondiale. Oltre che essere io stesso fotografo della testata. Qui inizia la mia collaborazione con l’agenzia Grazia Neri, che nel 2002 mi propone di seguire tutto il motomondiale.
 
Mi ero sempre detto che dovevo provarci entro i quarant’anni a fare un grande salto, IL grande salto, professionalmente parlando. E il 2 aprile, esattamente un anno dopo la nascita di Sportautomoto ed un mese e mezzo prima del mio quarantesimo compleanno, parto per il Giappone senza pass e senza prenotazione alberghiera, visto che la domanda di accredito era stata fatta al limite come tempo. Però era un’occasione troppo ghiotta. Ed a quarant’anni ho rimesso in gioco tutta la mia vita professionale, sicurezze in cambio di incognite, e non solo…
 
L’intervista
 
D. Che cos'è per te la fotografia: arte, cronaca, rappresentazione o che altro?
R. Per come la intendo io, sicuramente la fotografia è arte. E puoi raccontare anche la cronaca attraverso l'arte.
 
D. In che modo cronaca e arte possono coesistere? Da un certo punto di vista l’arte è qualcosa che va oltre i confini del vivere quotidiano, mentre la cronaca è il vivere.
R. Vero, penso però si possa raccontare il vivere in modo artistico, o comunque dare un taglio artistico a qualunque cosa riguardi il vivere quotidiano. La cronaca diventa arte nel momento in cui riesce a raccontare qualcosa che va al di là dell’evento in sé. E andando ovviamente oltre un discorso prettamente sportivo. Prendi una coppia in una visita ad un mercatino: la puoi raccontare descrivendo l’evento ma anche raccontandolo in modo ricercato, sfizioso, cercando di trasmettere i loro stati d’animo da un tuo punto di ripresa non sempre scontato… catturare emozioni, gesti, sguardi che solitamente sfuggono se non colti al volo o vissuti in prima persona.

D. Come si creano le immagini? Cosa devono produrre in chi le osserva? E quando tu le scatti qual è il sentimento che provi?
R. Una sola risposta per tutte le domande: emozioni, provare e far provare emozione. Il mio obbiettivo è fondamentalmente quello di trasmettere a chi vedrà la foto gli stessi brividi che sentivo io nel momento in cui scattavo, come e cosa vedevo con i miei occhi, con le mie inquadrature.
 
D. Appunto, le inquadrature: qual è, secondo il tuo personale stile fotografico, l’importanza del taglio da dare alle immagini? Quanto di questo è già presente prima dello scatto e quanto invece può essere corretto dopo? In altre parole, è giusto dire che le fotografie vanno prima immaginate che scattate?
R. Sì, per certi versi sì. Anche se è più corretto dire che con le nuove tecnologie ogni foto può essere un’evoluzione della precedente. Mi spiego. Con le pellicole scattavo un’immagine e pensavo a quella per cercare di migliorarla, di renderla più personale. Adesso la differenza è che la vedi subito, che attraverso il monitor delle digitali la puoi vedere e la puoi studiare, ripensare e nello scatto successivo reinterpretare. Poi, c’è il fattore esperienza che ti porta a vedere, a seconda della pista e della curva in cui ti trovi, un certo tipo di taglio, di inquadratura. Può sembrare strano ma, a volte, essere professionisti e habituè di certi luoghi può crearti problemi, nel senso che ti abitui a interpretare quella curva di quel circuito in un certo modo, anno dopo anno, perché sai per esperienza che è quello il modo migliore per farlo. Poi, magari, arriva un fotografo giovane, senza esperienza, che non ha mai scattato immagini da quella postazione e ti tira fuori qualcosa di assolutamente nuovo e originale, di sorprendente. Ecco, questo è uno dei pochi casi in cui l’esperienza può ingannare il fiuto per l’immagine, ma è un fatto del tutto naturale e inevitabile, ognuno ha il proprio stile e la propria inclinazione e questo spesso anticipa il percorso dell’esperienza.
 
D. Quali sono le fotografie a cui sei più legato e perché?
R. I premi ovviamente, ma non solo quelli, anzi. In fondo quelle sono le foto che hanno avuto un loro riconoscimento ufficiale, ci sono invece delle incomprese che valgono altrettanto, che mi hanno dato emozioni forse diverse ma non inferiori, assolutamente. Momenti unici, quelle che fermano un attimo particolare, che raccontano qualcosa.

D: Perché hai scelto di rappresentare gli sport dei motori? Cosa secondo te li rende tanto 'fotogenici'?
R. Io sono nato e vivo a Imola e per me, per noi imolesi e romagnoli in genere, tutto quello che ha un  motore ha un  suo fascino: velocità, colore, passione. Però, è anche vero, come mi appassionano gli sport motoristici mi emozionano anche gli sport in generale. E' sempre una sfida dell'uomo, con altri uomini o contro il tempo. E raccontarli con una macchina fotografica è quello che a me dà brividi...
 
D. Iniziando a fotografare la velocità, a chi ti sei ispirato o hai avuto qualche maestro?
R. Uno su tutti: Angelo Orsi. A lui devo tanto: tecnica, inquadrature, idee. Abbiamo vissuto scrivania a scrivania in redazione, fianco a fianco sulle piste. La scuola di Angelo Orsi è stata importante più di ogni altra cosa, sotto questo profilo: ancora adesso, se ci capita di scattare in momenti diversi del weekend nella stessa curva e si vanno poi a guardare le foto, ci accorgiamo che l’interpretazione a livello di inquadratura e taglio è quasi la stessa.
La filosofia di fondo è la medesima, creare e trasmettere emozioni, cambia lo stile con il quale ciò si realizza. Io amo da sempre lavorare con tempi lunghi, mi piace mettere sulla carta il movimento che prende forma nell’immagine. Angelo, invece, persegue l’immagine perfetta, incisa nei più piccoli dettagli, come un frammento di realtà fissato nel tempo, dove è possibile per chiunque osservi riuscire ad entrare e cogliere i minimi particolari. Ai tempi di Autosprint non ti dico quante discussioni e quante lotte su questo tema, col direttore Cavicchi in mezzo a fare da giudice e paciere.
Alla fine la conclusione era che si aveva ragione entrambi, come è logico che sia, si tratta di due visioni della fotografia che sono perfettamente in grado di coesistere e fondersi, tanto che tutti e due abbiamo sempre messo in gioco il nostro stile verso esperienze differenti, io lavorando con tempi più brevi e Orsi allungando i suoi. Poi, in realtà, ho avuto la grande fortuna di conoscere tanti altri fotografi del settore e qui non posso non citarne altri due: Ercole Colombo e Daniele Amaduzzi.

D. Moto Gp, Formula 1, Superbike, Rally: cambia qualcosa nel tuo modo di fotografare queste discipline?
R. Sì e no nello stesso tempo. Imperativo trasmettere la velocità, gli stati d'animo, la fatica o la soddisfazione per un traguardo raggiunto. Però anche fare vedere dove si corre. E qui ovviamente è la differenza tra una corsa in circuito e i panorami di un rally. I paesaggi sono sempre differenti, anche tornando nello stesso luogo nel corso degli anni, è un fascino tutto particolare, che ogni anno si rinnova.
 
D. La gente, secondo te, cosa trova in una tua foto e cosa ammira soprattutto?
R. Spero, però posso solo immaginarlo, che è fatta da una persona che si emoziona quando la scatta. E che si sforza di trasmettere qualcosa.

D. Qual è la differenza tra guardare e vedere? E poi, è vero che trovarsi  nel posto giusto al momento giusto è solo questione di fortuna o c'è dell'altro?
R. Guardare è un modo superficiale di vedere le cose, solo se le vedi veramente puoi riuscire a entrarci dentro. Una sfugge, l'altra colpisce. E, se riesci a cogliere ciò, tu hai vinto, hai provato qualcosa... Riguardo la fortuna: puoi vincere al totocalcio con la schedina da un euro precompilata  o puoi indovinare per una tua deduzione: sempre fortuna è, però devi cercarla. E soprattutto devi giocare. Così la foto: se sei nel posto giusto al momento giusto, ok, sei fortunato, ma non basta, la foto devi comunque scattarla e deve riuscire in un certo modo: devi essere veloce, preciso, e col taglio giusto. Il resto sono solo parole.

D. Il tuo libro 'Emozioni' racconta per immagini un anno di Moto Mondiale: cosa rappresenta per te questo libro?
R. Tanto, è allo stesso tempo un traguardo raggiunto ed un nuovo punto di partenza. E’ cioè una enorme soddisfazione riuscire a raccontare una storia, a trasmettere emozioni (od almeno provarci, tentare di farlo) attraverso un racconto fatto di tue immagini, di ricordi impressi da te attraverso una macchina fotografica. Vero è, però, che appena lo hai terminato, dopo averlo riguardato per l’ennesima volta, lo rifaresti sicuramente diverso da come lo hai fatto. E’ una cosa normale, perché riparti da quel risultato per cercare di proseguire in quel tuo viaggio fatto di immagini, di volti e forme, di emozioni: si tratta di un piacere e di una scoperta che si rinnovano, uguali ma diversi, perché sono il frutto di un’esperienza maturata e dalla voglia di ricominciare da capo. Come ripartendo da un foglio bianco su cui ridisegnare di tutto e di più. 
 
D. L'ambiente del Moto Mondiale visto da dentro: vincitori e vinti soltanto, oppure c'è dell'altro?
R. Passione, tanta passione. Da parte di tutti.

D. Chi è per te Valentino Rossi?
R. Un ragazzo geniale ed una fonte inesauribile di fotografie sempre diverse l'una dall'altra.

D. Il pilota che è più bello fotografare, non necessariamente il più veloce, tra quelli di oggi e di ieri e perchè?
R. In pista Nicky Hayden, fuori Valentino: assolutamente unico per espressività. Nelle auto Ayrton Senna: due occhi che 'bucavano'.
 
D. Quanto manca un personaggio come Ayrton alla Formula 1 di oggi?
R. Tantissimo. Io ho vissuto quell’epoca in gran parte di sponda andando comunque a diversi GP per recuperare le fotografie da portare al giornale, Autosprint, per il quale curavo l’archivio fotografico.
Ho conosciuto di riflesso il pilota e l’uomo Senna attraverso i racconti di uno dei suoi più grandi amici, che era anche il mio Maestro, Angelo Orsi. Curiosità, aneddoti, racconti che mi facevano partecipare a quegli anni di F1 come uno spettatore privilegiato. A questa Formula 1 attuale mancano i duelli veri, in pista e verbali, tra piloti del calibro di Piquet, Prost, Mansell, Rosberg, Lauda, Jones ecc.
Piloti dal carattere forte, dei vincenti, che raccontavano con le loro imprese e, soprattutto, le loro personalità una Formula 1 secondo me più vera. E di quella Formula 1 Ayrton era sicuramente il numero uno, sia dentro che fuori la pista.
Al giorno d’oggi l’unico vero personaggio è Jacques Villeneuve, uno che non ha mai avuto problemi a ragionare con la propria testa e a dire quello che pensa, a volte risultando irritante e provocatorio per il sistema, ma sempre dicendo cose intelligenti.
Adesso che però non guida più macchine vincenti il suo spazio si è ridotto, anche perché la sua attenzione è rivolta soprattutto al desiderio di restare in questo mondo il più a lungo possibile, così ha meno occasioni per fare notizia.
Non c’è poi più nessuno come Irvine, un altro che dava sempre buoni spunti con il suo modo alternativo di vestire i panni del pilota. Oggi ci sono tanti bravi piloti, alcuni molto giovani, ma tolti dal sediolo dello loro macchina diventano tutti personaggi anonimi, non ce n’è nessuno che possa davvero aspirare a recitare il ruolo del personaggio.
 
D. Raccontaci l'organizzazione del tuo lavoro: puoi descriverci una tua settimana tipo quando segui un Gran Premio in giro per il mondo? Dalla valigia da preparare alle immagini da spedire al giornale.
R. Ok, ci provo. Premesso che ogni gran premio ha le sue caratteristiche, solitamente si prepara la valigia al martedì, il mercoledì si parte per arrivare in serata nella zona dove si correrà.
Il giovedì in circuito per sistemare la parte logistica, scrivanie, armadietti, linee telefoniche per la trasmissione delle foto. E si inizia a scattare immagini nel retrobox o, in caso di nuovo GP, dei piloti durante le ricognizioni.
Poi, dopo averle didascalizzate con criteri ben precisi, si inviano alle principali testate giornalistiche con cui si collabora e, nel caso mio, all'agenzia Grazia Neri che provvede a farle arrivare ad ulteriori giornali. Identica cosa nei giorni di prove e per la gara.
Fondamentale è riuscire a farle arrivare nel minor tempo possibile affinchè siano già in rete quando i responsabili fotografici dovranno decidere che immagine utilizzare. Ed è importante avere in agenzia persone che ti aiutino in questo. Poi, solitamente, se non si è vicinissimi come distanze a casa, si rientra il lunedì...

D. Veniamo al punto cruciale: ci descrivi la tua attrezzatura 'da lavoro'? Che rapporto hai con essa?
R. E' la mia compagna di lavoro, ma non solo! Soprattutto di viaggio, un viaggio che ogni anno si rinnova. Una compagna che mi permette di immagazzinare tante cose che diversamente sarebbero più difficili da ricordare, da trasmettere.
E di sensazioni che poi, riguardando le immagini, si rinnovano. Tecnicamente è composta da due corpi macchina di tipo digitale Nikon D2H, lenti 12-24, 35-70, 70-200, 400 ed un teleconverter 1.4x. Un flash che uso poco, quasi niente, schede generalmente da 1giga e batterie ricaricabili per i corpi macchina.
Ed una piccola, fantastica e comodissima Coolpix che portata in tasca ti permette di avere sempre la possibilità di scattare immagini ovunque tu sia ed in ogni momento...  

D. L'avvento della tecnologia digitale cosa ha portato di nuovo nel mondo dei fotografi? Vantaggi e svantaggi dal tuo punto di vista.
R. Una volta, nemmeno tanti anni fa, la fotografia era soprattutto genio e ricerca, nel senso che il fotografo lavorava per scoprire tutte le potenzialità offerte da una tecnologia che si basava ancora sull’uso delle diapositive.
Le doppie esposizioni, i controluce, gli effetti ricercati erano tutti frutto di sperimentazione e ricerca, di tentativi ed errori. Oggi per ottenere certi effetti basta saper scegliere il filtro adatto allo scopo: c’è quello che ti ammorbidisce i contorni, quello che ti crea l’effetto movimento, quello che ti crea il riflesso a stella, e poi basta saper usare bene Photoshop o un software analogo e il gioco è fatto. Io però penso che tutto questo sia una cosa diversa dalla fotografia, almeno per come a me piace interderla.
La fotografia digitale ha indubbiamente rivoluzionato il nostro ambiente, per certi versi lo ha rovinato, appiattito. Tutto è più semplice, almeno all’apparenza, anche se, come in tutti i settori, la differenza la fanno le sfumature e su quelle il bravo fotografo deve saper giocare. Sulle piste, per un pilota, sono gli ultimi tre decimi da togliere che fanno la differenza; da noi lo è il particolare da evidenziare, l'attimo da cogliere.
Così la differenza c'è sempre. Sicuramente mancano le pellicole, la capacità di saperle scegliere per creare e ottenere l’effetto desiderato. Ora i fotografi devono essere anche bravi tecnici del computer, conoscere photoshop, sistemi di spedizione delle immagini. Gestire dati non solo delle macchine fotografiche ma anche di byte, di profili colore, codici... Ad ogni modo, la fotografia digitale può essere una grande scuola per migliorarsi, specialmente se si è dotati di una buona dose di autocritica.

D. Quante foto scatti in un weekend di gare? E come organizzi il tuo archivio personale una volta a casa?
R. Archivio: Mi passi il temine 'è un grande casino?' Qui ringrazio i ragazzi dell'agenzia Grazia Neri che mi aiutano in questo e mi guidano... Per la prima parte della domanda dipende dalla gara, dal formato in cui le scatto, se solo in compressione jpeg o anche nef che è il raw di nikon. Se lo scatto è doppio, cioè contemporaneamente in entrambi i sistemi, possono essere cinque come dieci... mila.

D. Il consiglio che daresti a chi volesse iniziare a seguire le tue orme? Qual è la ricetta giusta per diventare un bravo fotografo?
R. Autocritica, autocritica autocritica. E voglia di migliorarsi, di sperimentare qualcosa di tuo, mai fermarsi.

D. La cosa più curiosa o preoccupante che ti è capitata svolgendo il tuo lavoro?
R. Uau, che domanda. La cosa più curiosa…
Curioso è come la gente ti riconosca, come gli spettatori sappiano chi sei pur non essendo noi personaggi che vanno in video, che vedi normalmente in tv. Essendo semplicemente gli autori di quelle immagini, di quei click che sui giornali ti fanno rivivere dall’interno un mondo affascinante come quello delle corse in generale. Ma comunque delle firme. 
Firme alle quali abbinare i volti non è sempre così facile… La cosa più preoccupante, invece, è scoprire che mentre sei a lavorare in pista qualcuno ti ha aperto la macchina e ti ha rubato tutta l’attrezzatura che non avevi portato dietro perché in quel momento non ti serviva, e questo può succedere in qualunque circuito o in mezzo al deserto, a me è successo e anche a tanti altri colleghi.
Sono davvero brutti momenti. Oppure quando sei alle prese con lavori importanti, per clienti importanti, e succede qualche imprevisto che ti manda a monte tutto: a me una volta si bloccò l’otturatore del diaframma sul valore 2,8, era una giornata di sole, io non me ne accorsi e tutte le foto andarono direttamente nel cestino della spazzatura.
Certo, era stata la macchina a rompersi, un guasto che è sempre difficile da prevedere, ma quell’episodio mi insegnò molte cose, prima fra tutte controllare sempre il buon funzionamento della fotocamera, se questa si ferma sul più bello sei perduto.
 
D. Negli ultimi 2 anni hai ottenuto alcuni importanti riconoscimenti in ambito fotografico: ce ne vuoi parlare? Cosa hanno rappresentato per te? E' cambiato qualcosa, dopo?
R. Nell'ultimo periodo ho ottenuto due importanti premi che sono il Fuji Sport Award e il 3° posto nel FIM Award ed unico fotografo della motogp ad essere premiato. Sicuramente  grandi soddisfazioni, anche perché il secondo era a livello mondiale e aperto a tutte le discipline riguardanti il settore motociclistico!
Cosa hanno rappresentato: bella domanda! A parte che è ancora presto in quanto il secondo me lo hanno assegnato in occasione della gara di Valencia in novembre, però principalmente è una soddisfazione che hai dentro, un poco una conferma che il tuo lavoro, il tuo tipo di foto, il tuo stile fotografico vengono apprezzati.

D. La tua vita un po' randagia per il mondo: quale fascino e quale fatica comporta viverla?
R. Fascino tanto, fatica fisica anche però la vera benzina è la passione, l'unico propellente che ti permette di fare questo lavoro. Comunque fascino è vedere il mondo, la gente che lo compone, e soprattutto come lo vive.
 
D. I tuoi progetti per il prossimo anno? E' vero che c'è l'idea di un nuovo libro? Se sì, puoi svelarci qualcosa?
R. Progetti sì, e ovviamente il libro è un po' quello che finalizzerebbe il mio lavoro di un anno. Però un libro mio fatto a modo mio, che descriva la stagione come io l’ho vista, l’ho vissuta, l’ho fotografata e di conseguenza raccontata. Ho alcuni amici, grandi amici, che stanno lavorando al progetto per fare sì che questo si realizzi. Solo che, purtroppo, non in Italia... questo tipo di libro sembra non interessare agli editori italiani.
 
D. Qual è il rapporto coi colleghi di lavoro? C’è qualche differenza tra italiani e stranieri?
R. Se parli di fotografi il rapporto è ottimo, almeno da parte mia, di qualunque nazionalità siano. Rivalità, forse, però importante è il rispetto reciproco. E con quei fotografi e questi presupposti non può che essere una sfida a colpi di click.
Per quanto riguarda il mercato invece reputo quello straniero più aperto ad immagini con alto tasso artistico, con tagli fotografici particolari, arditi anche. E questo purtroppo in Italia, e qui le eccezioni sono veramente poche, pare non interessare più di tanto, il nostro mercato sembra essere legato solo ad un discorso puramente di commento e cronaca.
 
D. Se tu potessi esprimere un desiderio per te e uno per questo mondo, cosa sceglieresti?
R. Un mondo giusto.

D. C’è una domanda che non ti ho fatto alla quale ti sarebbe piaciuto rispondere o c’è qualcosa che vuoi dire per concludere questa chiacchierata?
R. Un grazie a tutti quelli che mi hanno insegnato quello che so, e non sono solo fotografi. Un Direttore su tutti, Carlo Cavicchi, un vice, Franco Nugnes, grafici, giornalisti: il nostro lavoro è il risultato di un mix di esperienze, nelle quali ognuna aiuta l’altra a migliorarsi. E il cui risultato sono giornali, libri, editoria in genere. E a te e a tutti quelli che sono riusciti ad arrivare fino a questo punto dell’intervista. Sperando di aver loro trasmesso un qualcosa, qualcuna di quelle sensazioni che provo facendo quello che per me è un lavoro fantastico…
 
POST SCRIPTUM
 
Questa intervista era programmata in concomitanza con il Gran Premio d’Italia di Formula 1 dello scorso settembre, ma come molti di voi sapranno Mirco e suo fratello Mauro non poterono partecipare a quell’evento a causa di un grave incidente motoristico. Sulla strada del rientro da Brno, infatti, dove avevano immortalato la gara di Moto GP, la vettura su cui viaggiavano in compagnia di altri 2 colleghi si scontrò con un cinghiale che, chissà come, stava attraversando la carreggiata dell’autostrada in prossimità di Bassano del Grappa. Solo la grande velocità dei soccorsi e le capacità dei medici intervenuti riuscirono a salvare la vita a Mirco, il quale da allora si è impegnato in un lungo e faticoso percorso di recupero, con giornaliere sedute di fisioterapia. Proprio in questi giorni è avvenuto il suo rientro ufficiale nel mondo della Moto GP, da lui tanto amato e così bene raccontato attraverso le immagini, con la presentazione del Team Yamaha Camel e con i prossimi test collettivi in Spagna. Da lì in poi la sua stagione riprenderà con la stessa serrata alchimia di viaggi, alberghi, piste e naturalmente foto, tante, tantissime foto. Lo immagino emozionato e carico come poche sere fa al telefono, quando mi ha raccontato degli ultimi preparativi e delle ultime cose da sistemare riguardo all’attrezzatura fotografica ( andata completamente distrutta nell’incidente ). Al suo fianco, come sempre, il fratello Mauro. Ad entrambi un caro augurio e un sincero “Bentornati!”.
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